plateaWASHINGTON D.C. (Stati Uniti) – Parlare ai cani per parlare meglio in pubblico: il salto dalla platea nuda alla platea pelosa lo compie la Kogod School of Business di Washington che, per i propri studenti, ha varato un apposito programma per ‘allenare’ relatori in erba a presentare i propri studi in semplici interrogazioni, esami e conferenze pubbliche. Del resto chi ha un cane lo sa: raro trovare un ascoltatore paziente come il compagno a quattro zampe. Nessuna pena d’amore è troppo banale per le sue orecchie, e non c’è bega su cui non sia disponibile a ricevere i nostri sfoghi, magari ricambiando pure con un bacino di consolazione a fine peana.

platea3Così, la ex direttrice della Kcbc Bonnie Auslander ha pensato di utilizzare queste caratteristiche come risorsa per gli studenti. Ha selezionato l’uditorio canino sulla base di calma e capacità individuale d’attenzione e ha apparecchiato così la platea. Ottimi i risultati: “Fare pratica con un cane – conferma la public relations manager Ericka Acosta – serve a un sacco di cose: diminuisce l’ansia, ti costringe ad ascoltare te stesso mentre parli ad alta voce, e permette di misurare le proprie abilità verbali dinanzi a un pubblico vivente ma non giudicante”.

platea1Che poi “non giudicante” si fa per dire: i segnali posturali con cui il cane reagisce alla relazione possono essere utilizzati, anche quelli, come spie di un parlare troppo piatto o non convincente o destinato a mandare a picco l’attenzione dell’uditorio. Se il cane poggia la testa a terra o – peggio – sbadiglia o – orrore – si appisola, come minimo sarà il caso di vivacizzare l’incedere oratorio con qualche slide o variando i ritmi del parlato con domande retoriche o intonazioni ad hoc. Cane docet.

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