C’è un’Italia scossa, al centro dell’Italia: è l’Italia del terremoto, in cui intere comunità di uomini e animali condividono un’emergenza continua ma non dal 24 agosto scorso, come direbbe la cronaca d’attualità. Quella appenninica è una zona storicamente sismica. Nel 1859 ci si interrogava sulle modalità costruttive per gli edifici che sarebbero sorti in luogo di quelli rasi al suolo da un terremoto violento. Allora, quelle zone oggi tradite dalla terra erano sotto il governo dello Stato Pontificio, i cui ingegneri decretarono che non si edificassero case oltre i due piani. Ci furono proteste. Si chiesero – e ottennero – deroghe per andare più in alto. Oggi che si è precipitati, si fanno i conti anche con quelle deroghe ottenute allora.
Non dobbiamo accontentarci. Perché l’Italia è maestra in gestione dell’emergenza, sì, ma poi da quell’emergenza bisogna uscire per generare un tempo ordinario che sia di sicurezza. Le istituzioni hanno reagito nei minuti immediatamente successivi allo scossone dell’altra sera. La macchina dei soccorsi – una Protezione Civile rodata, infaticabile e lodevole – non aveva avuto neppure il tempo di far assopire i motori. Le associazioni animaliste idem: Enpa, Lndc, Lav, Oipa… erano tutti ancora impegnati nell’area di Amatrice, e ieri hanno moltiplicato il loro impegno in uomini flotte e presidi tra Preci, Norcia, Tolentino e laddove i riflettori non si sono accesi ma le sofferenze sì.
Tutti attivi. Soccorsi a pieno regime. Ma non dobbiamo accontentarci. A noi che raccontiamo spetta di tenere alta l’attenzione su ciò che si sta facendo, ma anche a quanto di più e di meglio si potrebbe fare per dare continuità allo slancio impresso da questa azione solidale collettiva e condivisa: è questo dunque il momento per affiancare Enpa nell’appello a far sì che uomini e cani non si dividano, per sostenere Lndc quando propone di provare a pensare a una Protezione Civile animale, per raccontare unità cinofile che si addestrano in tempi non sospetti.
C’è tutto un lavoro, da fare, e non ha nulla a che vedere con l’emergenza. C’è tutto un lavoro, da fare, che è legato a economie rurali con allevamenti di bestiame che rischia l’abbandono e a un’emotività messa a dura prova da cui si pretenderebbe di strappar via anche gli affetti con la coda. Il volontariato, questo gran lavoro, non può compierlo in solitudine continuando a sopperire a grandi e piccoli fiaschi istituzionali, carenze decisionali, programmazione inefficace e campagne elettorali permanenti. Affinché il prossimo terremoto – che ci sarà, è sicuro che prima o dopo ci sarà – provochi un’emergenza meno costosa in termini di perdite di esseri viventi e cose e case. Affinché, nella prossima volta inevitabile, le comunità rimangano intatte. E le ferite letali di oggi, diventino graffi domani. Non accontentiamoci. Noi non ci accontentiamo.