CITTA’ VARIE – C’è il fedele simpatico Macchia. C’è il feroce Bastardo, un nome una garanzia. E poi c’è quel cane senza nome di un proprietario senza nome che grazie a un talento da problem solver si salverà abbandonando il padrone privo di creatività e fantasia. Eccoli qui, i tre protagonisti a quattro zampe che compongono il mosaico di episodi della Ballata di uomini e cani, spettacolo dedicato a Jack London di e con Marco Paolini che sta girando i teatri italiani proprio in queste settimane. Sono storie di esistenze che si intrecciano esplorando – sulle note musicali di Lorenzo Monguzzi eseguite dal vivo con Angelo Baselli e Gianluca Casadei – la relazione uomo-cane fuori dalla modalità disneyana rose e fiori, ma privilegiando piuttosto il senso ancestrale di un legame innato, spontaneamente simbiotico ma a volte persino subito.
Come tra il pigro e goloso Macchia, un cane da slitta che non tira un bel nulla e che, proprio perciò, viene venduto e rivenduto ma torna sempre dai suoi proprietari, con fiuto e orientamento infallibili a guidare una lealtà riposta forse immeritatamente. Di tutt’altra tempra è Bastardo, che sforza il suo legame col coriaceo zingaro Black Leclère consumandolo in un odio ricambiato che sfocerà in fatale vendetta. Terzo episodio è Preparare il fuoco. Qui cane e uomo non hanno nome, e senza la loro identità individuale esistono nella loro affannosa ricerca di pepite d’oro. E’ una fame senza fondo, un’impresa resa rischiosa dall’avanzare del gelo. Più che l’oro, conta il fuoco. Conta il calore, della carne e del cuore. L’uomo continuerà a cercare e soccomberà. Il cane si salverà lasciandolo ai suoi affanni.