A un pugno di giorni dal Ferragosto, a Trento, l’orsa KJ2 è stata abbattuta: era lei la protagonista dell’incidente scaturito, a fine luglio, dall’incontro con un pensionato a spasso nei boschi sul lago di Terlago insieme al suo cane. I contorni di quell’episodio, che ha condotto l’anziano in ospedale, non sono ancora del tutto chiari: secondo quanto aveva ricostruito il responsabile grandi carnivori della Provincia autonoma di Trento Claudio Groff, sarebbe stato l’ escursionista il primo a scagliarsi contro l’orsa con un bastone. KJ2, dunque, si sarebbe difesa a zampate. La mole – 133 chili di peso – avrebbe assegnato la peggio all’uomo. E’ stata comunque abbattuta perché ritenuta “ad alto indice di pericolosità”.
Ma cosa c’entra, l’orsa KJ2, in un blog sul cane? C’entra, c’entra. Il suo abbattimento è il frutto di un malinteso relazionale che l’uomo spesso pratica – anche inconsapevolmente – verso le altre specie: pensare di potersene impossessare senza poi curarsi di come ciò cambi le regole del gioco dell’interazione. Cane compreso. E il malinteso, per quanto riguarda il cane, sta qui: domestico non significa a misura d’uomo. Il cane resta un cane, e accoglierne uno o più nel branco familiare e in ambiente casalingo significa scegliere quel compromesso amorevole che sempre una relazione positiva implica. Sia essa amicizia, amore, affetto, conoscenza rispettosa, fino alla firma nel blocco consegna delle raccomandate del postino. Il postino suona il campanello, noi scendiamo al portone ed ecco che si svolgono le operazioni di disbrigo. Un compromesso, appunto. Ci si viene incontro.
L’orsa KJ2, al pari di altri esemplari suoi simili, non aveva scelto lei di abitare i boschi del Trentino: vi era stata introdotta artificialmente dall’uomo in virtù di un progetto europeo di tutela della specie che si chiama Life Ursus. Il suo abbattimento contraddice vistosamente quell’etichetta. Quando adottiamo un cane, possibilmente tra i tanti ospiti dei canili, ancora una volta siamo noi a scegliere di entrare in relazione con un’altra specie. Domestica, è vero, ma il baricentro del rapporto starà comunque in un punto fuori da noi e fuori dal cane, in una terra di mezzo in cui ciascuno sarà chiamato a percorrere il proprio tratto di strada verso l’altro ascoltandolo, conoscendolo, rispettandolo, lasciandogli fare il cane.
Noi porteremo fuori il cane almeno tre volte al giorno per almeno mezz’ora per volta (giuppersù); e lui imparerà ad aspettarci mentre saremo al lavoro senza devastare casa per l’ansia. Noi lo nutriremo nel modo giusto per lui, quello che ci consiglierà il veterinario da cui lo condurremo regolarmente per visite e vaccini; e lui ci ripagherà scodinzolandoci ogni volta che sulla sua pelliccia poseremo uno sguardo o una carezza. Noi gli assicureremo socialità sia in famiglia che fuori, lo faremo giocare-annusare-interagire coi suoi simili; e lui ci farà ridere quando – rotolatosi nelle peggio cose e stremato dopo sessioni di lotta all’ultimo rimbalzo con palline e bastoncini – si girerà con quella faccia da tontolone con l’occhio iniettato di gioiosa eccitazione e lingua penzoloni d’ordinanza, possibilmente bavosa.
Se noi non faremo la nostra parte, lui – il cane – farà ugualmente la sua. Per lui, noi siamo il suo supereroe qualunque cosa facciamo. Se lo infiocchetteremo e imbelletteremo ma poi lo priveremo dei presidi minimi per la sua salute, se sbufferemo quando in quanto cane abbaia, se gli negheremo la passeggiata, se – peggio – ce ne stuferemo fino a abbandonarlo perché come noi cresce, invecchia, si ammala; beh se faremo così lui sopporterà ugualmente. Ma non sarà felice. Non sarà libero di essere cane. E saremo stati noi a scegliere.