Dividiamo con loro lo scorrere del calendario per anni. Una pantofola rosicchiata dopo l’altra, le lotte per la supremazia sul controllo del divano, le sederate per conquistare il centro del materasso per quanti dormono nello stesso letto-cuccia. E poi le ciotole amorevolmente riempite e vuotate in un battibaleno mentre la coda scolpisce gioiose eliche nell’aria, il rigatone al ragù allungato di straforo da sotto al tavolo, le passeggiate in regime di tira (lui) e molla (noi)… Poi arriva il Grande Traguardo e con lui il dolore della perdita, della separazione. Il lutto, insomma.
Si dice che i cani abbiano un loro paradiso a cui accedono percorrendo un ponte sull’arcobaleno. La certezza è che per chi resta la sofferenza è assimilabile a quella della perdita di un familiare. La società non sempre è pronta a riconoscere questo stato d’animo. Nel loro studio comparso sul terzo numero del 2017 della rivista Psicoterapia e Scienze Umane Ines Testoni e Loriana De Cataldo lo chiariscono fin dal titolo, ovvero Un lutto speciale. Delegittimazioni culturali e rappresentazioni della morte nella perdita di un animale domestico.
Oggi però la riflessione su questo aspetto della relazione uomo-animale ha subito un ribaltamento: e quando è l’essere umano ad andarsene per primo? Il dibattito è stato innescato dalle dichiarazioni rilasciate da Alain Delon a Paris Match, che gli ha dedicato un inserto speciale. Delon afferma che, quando sarà il momento in cui lui verrà a mancare, darà disposizioni al veterinario affinché pratichi l’eutanasia al suo pastore belga di due anni, Loubo, che dovrà essere seppellito assieme a lui. «Preferisco così piuttosto che debba morire di dolore sulla mia tomba», ha motivato l’attore.
L’offensiva animalista non si è fatta attendere, e sui social le posizioni tra chi definisce tale scelta ultimo atto d’amore e chi estremo egoismo sono tutte squadernate. Con certa costernazione, anche, dal momento che Delon non può certo dirsi uno che non ama i cani, avendone sempre avuti con sé anche più di uno alla volta.
Il punto è che il cane dipende in tutto e per tutto dalle nostre scelte e dai nostri comportamenti; virtuosi o no, lui scodinzola e guarda innamorato il suo umano. Si fida ciecamente. E in questo senso il cane interroga, è palestra di altruismo in una relazione che richiede al bipede la responsabilità di scegliere il meglio per lui. Il cane non si ribella. Per questo il flacone dove confinano amore e possesso nella vita a sei zampe ha un bugiardino corto corto. «Maneggiare con cura», c’è scritto.