Il XV secolo aveva da poco girato la sua boa di metà vita quando Teodoro Gaza scrisse il suo Elogio del Cane. E oggi, a un millennio di distanza, ecco la prima edizione moderna della Canis Laudatio curata da Lucio Coco e stampata per i tipi dell’editore fiorentino Leo S. Olschki. La sorpresa è l’attualità di questo breve e delizioso libello che risplende in una nuova veste editoriale. Mai come in queste pagine il cane, animale che avvicina l’umanità alla naturalità, è stato protagonista assoluto di una trattazione. Compagno fedele in ogni impresa, anima affine al destino dell’uomo, il cane ritratto da Gaza non è ‘servo’ del proprio padrone, ma un sodale nell’accezione antropologica, etologica e relazionale più attuale.
Grazie anche alla traduzione e alle cure di Lucio Coco, l’Elogio del cane mostra oggi tutte le iridescenze del proprio spettro cromatico: divertissement, saggio di zoologia erudita, raffinato documento storico, poesia domestica e atto d’amore verso quello che classicamente – e non a torto – è considerato “il miglior amico dell’uomo”. Morto nel 1475, Teodoro Gaza appartiene a quella folta schiera di intellettuali che nel corso del XV secolo avevano dovuto lasciare l’oriente cristiano per effetto delle invasioni dei turchi ottomani e riparare in Italia in cerca d’asilo, contribuendo non poco allo sviluppo della cultura umanistica grazie alla diffusione dell’idioma e della cultura greca nelle corti italiane.
Della vasta opera di traduttore e filosofo, l’Elogio del cane è forse il lavoro più breve e meno conosciuto ma è anche il testo che sicuramente si presta a una lettura assai gradevole e godibile. Occasione dello scritto è il dono di una cagnolina che egli fece a un illustre signore, cosa che gli permise di tessere le lodi di questo antico amico dell’uomo attraverso l’enumerazione delle sue innate qualità come la fedeltà, la versatilità, l’intelligenza, la natura amorevole e affettuosa. In tal modo, scorrendo l’Elogio si ha come l’impressione di avere un cane accanto a sé, quasi un doppio del dono che Gaza aveva realmente fatto, stavolta non all’illustre signore ma a noi che lo leggiamo più di cinque secoli dopo.