ROMA – Negli Stati Uniti era una moda già alcuni anni or sono, ma in Italia la professione di psicologo per cani di fatto non è riconosciuta e non esiste. Dunque, quando si riesce a schivare la pletora degli improvvisati che – magari pure in buona fede – si autocertificano capaci di sussurrare ai quattro zampe, il recupero di un cane con difficoltà immateriali, psicoemotive o cognitivo-comportamentali, è affidato a educatori, istruttori o veterinari comportamentalisti con ore e ore di esperienza teorica e pratica alle spalle.
Ma non è tutto. Spesso, infatti, il problema del cane siamo noi. Già: non è raro che a una difficoltà comportamentale del cane corrisponda un atteggiamento scorretto dell’umano che lo accompagna, e che deve essere necessariamente modificato. “Credo – spiega ancora Perla – che il compito degli istruttori sia quello di essere prima di tutto psicologi delle persone, capire il carattere del proprietario, cercare di comprendere se si tratta di un dominante, di un logorroico, di un incoerente o se magari ha la tendenza ad umanizzare troppo il cane o a coccolarlo senza alcuna ragione. Sono proprio questi atteggiamenti, infatti, che portano a comportamenti del cane per noi evidentissimi. Si lavora guardando il cane e la persona, e se riusciamo a cambiare il comportamento delle persone riusciamo anche ad aiutare il cane. Proprio come fosse una terapia di coppia“.